Referendum giustizia 12 giugno

Primo quesito (scheda rossa)

Abrogazione della legge Severino su sospensione, incandidabilità e decadenza per alcune condanne

Il primo quesito, il più critico, chiede l’abrogazione della legge Severino. Questa norma vieta la candidatura e l’eleggibilità a qualunque carica pubblica per le persone condannate in via definitiva a più di 2 anni di carcere, per reati di corruzione, concussione, collaborazione con la criminalità organizzata o organizzazioni terroristiche e per delitti non colposi con pene dai 4 anni in su. Inoltre, la Severino prevede la sospensione della carica per 18 mesi in caso di condanne non definitive o la decadenza in caso di condanna definitiva.

Il quesito presentato chiede di eliminare completamente questa norma, per lasciare la decisione ai giudici caso per caso. Se dovesse vincere il sì, anche i candidati per reati gravi potranno concorrere per le cariche pubbliche, salvo diversa indicazione del giudice.

Perché Sì: l’automatismo deve essere eliminato e devono essere i giudici a stabilire l’interdizione dai pubblici uffici tramite pena accessoria.

Perché No: bisognerebbe modificare alcuni elementi, come la sospensione per gli amministratori locali che hanno subito sentenze non definitive, ma la Severino deve rimanere.

Secondo quesito (scheda arancione)

Limitazione della custodia cautelare

Il secondo quesito chiede una riforma della custodia cautelare, una misura preventiva applicata per limitare la libertà a un imputato durante un processo, in caso di pericolo di fuga, inquinamento delle prove o di reiterazione dei reati come delitti personali o legati alla criminalità organizzata.

Il quesito chiede quindi di eliminare la custodia preventiva in caso di pericolo di reiterazione del reato per i delitti puniti con un massimo di 5 anni di carcerazione o 4 in caso di arresti domiciliari. L’eccesso di carcerazione preventiva è un problema reale. Ma in vari casi (ad esempio lo stalking, la truffa, reati fiscali e finanziari) il pericolo di reiterazione del reato appare però un pericolo obiettivo. Su questo non interviene la riforma della giustizia.

Perché Sì: riduce il numero di indagati e imputati soggetti a misure cautelari senza essere processati.

Perché No: riduce la possibilità di applicare misure cautelari in casi in cui è fondamentale agire con urgenza, soprattutto per alcune tipologia di reato, come la truffa o lo stalking, in cui il rischio reiterazione esiste.

Terzo quesito (scheda gialla)

Separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri

Il terzo quesito interviene sulla separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Il ruolo dei primi è appunto di esprimere un giudizio sui casi, mentre il ruolo dei secondi è di promuovere l’azione penale contro gli imputati. Oggi, il passaggio tra i due ruoli è limitato a un massimo di quattro volte con alcune regole, tra cui l’impossibilità di svolgere entrambe le funzioni all’interno dello stesso distretto giudiziario. Tuttavia, se la riforma presentata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia dovesse venire approvata, il numero di passaggi possibili scenderebbe a uno.

Il quesito, invece, chiede che venga eliminata completamente la possibilità per i magistrati di cambiare carriera da giudice a pubblico ministero e viceversa, imponendo quindi di dover scegliere in maniera definitiva a inizio carriera se diventare giudice oppure pubblico ministero.

È il quesito più importante in termini di sistema, che si inserisce nella scia della riforma dell’articolo 111 della Costituzione del 1999 che in chiave liberale richiede un giudice terzo rispetto ad accusa e difesa. Rispetto a questa esigenza di equilibrio liberale di sistema non convincono affatto le obiezioni pragmatiche (lasciamo scegliere dopo un certo periodo di esperienza, in pochi passano effettivamente, ecc.) perché il fatto di costruire un sistema in cui da una parte stanno insieme giudice e accusatore e dall’altro il difensore dà vita a uno squilibrio strutturale. Da ricordare che l’art 12 del testo sulla riforma della giustizia va nella stessa direzione, riducendo i passaggi ammessi da 4 a 1.

Perché Sì: la modifica riequilibra il sistema giudiziario, evitando commistioni tra chi giudica e chi accusa.

Perché No: la separazione delle funzioni rischierebbe di isolare i Pm e sarebbe un ostacolo alla carriera dei magistrati, impedendo loro di svolgere funzioni diverse.

Quarto quesito (scheda grigia)

Valutazione dei magistrati

Il quarto quesito vuole intervenire sulla valutazione dei magistrati effettuata dalla Corte di cassazione e dai Consigli giudiziari. Ogni quattro anni i magistrati sono valutati da un consiglio disciplinare, composto da altri magistrati, cioè giudici e pubblici ministeri, da avvocati e professori universitari di materie giuridiche. Mentre tutti i membri del consiglio collaborano alla formulazione del giudizio, il voto sulla valutazione finale spetta solo ai magistrati.

Il quesito vuole quindi estendere il potere di voto sulla valutazione dei magistrati anche agli avvocati e ai professori universitari. Sul punto la riforma Cartabia apre al solo voto dell’avvocatura. L’eventuale sì non sarebbe dunque superato dall’articolo 3 della riforma della giustizia (che apre ai soli avvocati) perché è una norma di delega e non di diretta applicazione.

Perché Sì: la componente laica non deve essere esclusa dal giudizio sulla professionalità dei magistrati per ridurre il tasso di autorefenzialità nelle valutazioni.

Perché No: il rischio è quello che un giudice debba rimettersi al giudizio di un avvocato che potrebbe incidere su un eventuale avanzamento di carriera o esprimersi a suo sfavore per contrasti professionali. Per i sostenitori del No la questione andrebbe risolta per “via legislativa”.

Quinto quesito (scheda verde)

Candidatura al Consiglio superiore della magistratura

Il quinto quesito vuole abolire l’obbligo di raccolta firme per i magistrati intenzionati a candidarsi al Consiglio superiore della magistratura. Il Csm è composto da 27 membri, di cui 3 di diritto – cioè non eletti, che sono il presidente della Repubblica più il presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione – e gli altri eletti. Il suo ruolo è governare la magistratura, valutando e gestendo in maniera autonoma le azioni di giudici e pubblici ministeri. Tra i suoi compiti c’è anche la gestione dei concorsi, gli avanzamenti di carriera, gli spostamenti e le sanzioni disciplinari.

Esclusi i tre membri di diritto, gli altri 25 vengono eletti per due terzi dai magistrati e per un terzo dal Parlamento. Per diventare membro del Csm, un candidato o una candidata deve ottenere le firme di almeno 25 magistrati che svolgono un ruolo di supporto alla candidatura. Il quesito propone quindi di eliminare la raccolta firme, per permettere al candidato o alla candidata di presentare liberamente una candidatura, senza la necessità di un appoggio. Secondo i promotori questo eviterebbe voti politicizzati all’interno del Csm e mette in discussione l’attuale sistema basato sulla fotografia delle correnti, ma l’impatto sarebbe limitato perché non interviene sulla trasformazione dei voti in seggi. Inoltre, il quesito sarebbe superato dall’eventuale approvazione dell’articolo 33 del testo sulla riforma della giustizia in Aula alla Camera che è di diretta applicazione, non di delega.

Perché Sì: secondo i sostenitori del Sì, abrogando questa norma si riuscirà a indebolire le correnti interne alla magistratura, lasciando ai magistrati maggiore libertà di candidarsi.

Perché No: secondo i sostenitori del No la riforma Cartabia prevede già questa modifica, quindi sottoporla a referendum non ha senso

Avv. Antonella Raimondo & Giovanni M. G. Raimondo

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